di Roberto Malini – EveryOne Group
Il trucco è quello di non presentare nei dettagli i progetti di parchi eolici: si parla di rinnovabili, di forza del vento, di transizione ecologica, di rispetto del paesaggio. E non tutti insieme: un “parco” dopo l’altro, attenuando il clamore delle proteste, frammentando l’informazione. Quando poi arrivano i mostri è troppo tardi e nessuno può più fermare i cantieri che devastano aree agricole o naturalistiche, tagliano alberi, scavano immense basi e le riempiono di cemento, aprono strade per l’enorme viavai veicolare che si crea.
Tutte le regioni italiane saranno interessate progetti di pale eoliche industriali da posizionarsi anche in zone paesaggistiche, sismiche, a rischio idrogeologico e caratterizzare da una notevole e preziosa biodiversità. Se nessuno fermerà, con gli strumenti civili e giuridici, tali progetti, il Paese sarà costellato in prima battuta da decine ecomostri in ogni regione, alti da 180 a 200 metri. Alcuni parchi faranno capo al Ministero della transizione ecologica, altri alla Regione. Non ci si deve illudere: crinali di bellezza incontaminata, paesaggi agricoli e zone verdi dagli equilibri delicati saranno invasi e le loro peculiarità ambientali annientate.
I cittadini sono in linea di massima contrari, ma l’immaginario che hanno assimilato dai media e dal marketing delle aziende dell’energia non è quello reale, ma piuttosto un’idealizzazione in cui le pale equivalgono ai mulini dei Paesi Bassi. La fragilità del terreno, la franosità di certi crinali, la delicatezza dell’equilibrio idrogeologico sono elementi spesso trascurati dai progetti e bisognerà rilevarlo nelle sedi giuridiche, affrontando però una rete di burocrazia in cui sarà difficile districare buon senso e diritti. Le turbine sono invasive e mettono in pericolo l’avifauna e l’ambiente, rilasciano microplastiche tossiche e inquinamento acustico che si riflette sulla salute dell’ambiente e degli esseri umani. Senza tener conto che l’eolico, in zone di ventosità scarsa e irregolare, non dà vantaggi economici e che per smaltire le titaniche turbine si dovranno aprire nuove discariche di dimensioni spropositate e questo dopo soli 15/20 anni, mediamente, di funzionamento.
Le regioni agricole o naturalistiche appenniniche o prealpine non sono aree adeguate ad accogliere ecomostri di tali dimensioni e di tale impatto su ambiente e salute. Le si scelgono perché i terreni agricoli costano meno rispetto ad aree industriali dismesse o margini di autostrade. Così si preferisce rovinare la vera ricchezza del nostro Paese, che è la sintesi di natura e arte, piuttosto che dirottare gli impianti verso zone già degradate, aree industriali o, appunto, zone non paesaggistiche al limite di autostrade. I paesaggi italiani, il cui pregio e valore ambientale sono incommensurabili, sono in grave pericolo ed è bene documentasi sulla realtà invasiva di un “parco eolico”, restare informati su quanto si profila all’orizzonte, prepararsi a fondare comitati muniti di assistenza legale.