Poesia e intelligenza artificiale: un dibattito che preannuncia il futuro della letteratura

di Roberto Malini
Nel vasto panorama digitale, dove i social media fungono da agorà moderna, si è acceso un dibattito stimolante, inaugurato dalla poeta Giovanna Cristina Vivinetto su Facebook. L’argomento? Il rapporto tra l’intelligenza artificiale e la poesia contemporanea, un tema che ha suscitato riflessioni, entusiasmi e timori tra poeti, critici e lettori.
Vivinetto, insegnante e poeta affermata, ha condiviso la sua esperienza con ChatGPT, chiedendo alla macchina di indicare quali libri di poesia pubblicati negli ultimi vent’anni siano destinati a rimanere nel tempo. Tra i titoli emersi: Jucci di Franco Buffoni, Historiae di Antonella Anedda e Cedi la strada agli alberi di Franco Arminio. Una selezione che ha sollevato reazioni diverse, come era prevedibile, date le innumerevoli controversie suscitate dall’avvento del “computer che ragiona”. Alcuni hanno lodato la capacità dell’AI di individuare opere già canonizzate; altri, hanno espresso perplessità, notando un’apparente tendenza dell’AI a riflettere i gusti dominanti del mercato editoriale.
“Non è una classifica,” ha precisato Vivinetto. “È un insieme di titoli scelti sulla base di criteri che la macchina non specifica, ma che sembrano includere vendite, premi e citazioni critiche”. Questa spiegazione non ha placato tutti i dubbi: “La poesia non è un tema da classificare,” ha scritto una poeta. “Il rischio è quello di ridurre l’arte a una mera funzione algoritmica”.
Il dibattito solleva interrogativi più ampi sul ruolo dell’AI nella cultura contemporanea. Può una macchina “capire” la poesia? Può contribuire alla sua diffusione senza snaturarne l’essenza? Può essere partecipe della sua nascita, come una nuova musa? Per alcuni, come Annalisa Guzman, ingegnera informatica, l’AI è semplicemente uno strumento avanzato, “un algoritmo predittivo” privo di anima e consapevolezza. Ma Vivinetto ha sottolineato un punto cruciale: l’AI non è solo un riflesso meccanico dei dati umani; è anche un catalizzatore di nuove connessioni. “La macchina può sorprendere per come combina informazioni in modi inaspettati,” ha detto, “e anche per questo è utile”.
Nonostante questa riflessione, la questione dell’autenticità resta centrale. “La poesia deve essere una voce unica,” ha scritto un noto psicoterapeuta. “L’AI rischia di appiattire tutto su una griglia di mediocrità”. Questa paura non è nuova: già negli anni ’60, durante l’avvento dei computer, lo scrittore Philip K. Dick immaginava mondi in cui le macchine avrebbero soppiantato l’umanità creativa.
Il dibattito italiano non è una novità assoluta. Negli Stati Uniti, un esperimento simile è stato condotto dal poeta Kenneth Goldsmith, fondatore della “poesia concettuale.” Usando algoritmi, Goldsmith ha creato opere che fondono parole tratte da fonti disparate. La sua opera più controversa, Seven American Deaths and Disasters, si basa su trascrizioni di trasmissioni radiofoniche durante eventi tragici americani. Goldsmith sostiene che l’AI possa ridefinire il significato di originalità, ma critici letterari come Marjorie Perloff mettono in guardia contro il rischio di creare una poesia senza profondità emotiva.
In Giappone, l’haiku – una forma poetica profondamente legata alla tradizione – è stato reinterpretato da algoritmi che imitano lo stile dei grandi maestri come Bashō. Anche qui, il pubblico si divide tra chi considera queste creazioni come un tributo e chi le percepisce come una profanazione.
Vivinetto ha invitato a considerare un aspetto positivo: “Pensiamo a un quattordicenne che non sa nulla di poesia. Se questa lista lo portasse a leggere Buffoni o Anedda, sarebbe un inizio promettente”. Questo approccio pragmatico riflette una verità: l’AI, pur con tutti i suoi limiti, può essere uno strumento per avvicinare nuove generazioni a un’arte spesso percepita come elitista.
Ma quali sono i rischi? Se l’AI diventasse il principale arbitro del gusto, si rischierebbe di escludere quelle voci marginali che sfidano il mainstream. Come ha osservato un altro poeta, “Molti grandi poeti rimangono sconosciuti perché non seguono le logiche del mercato. La poesia autentica non ha bisogno di dimostrare nulla”.
Il dibattito, dunque, non riguarda solo l’AI, ma anche il futuro della poesia stessa. Siamo di fronte a una trasformazione inevitabile. L’AI non sostituirà i poeti, ma li costringerà a confrontarsi con nuove domande: cosa significa essere originali in un mondo dove le macchine possono imitare l’uomo? E quale sarà il ruolo dell’essere umano, dell’autore umano in un’arte sempre più ibrida?
Per ora, possiamo solo seguire il consiglio di Vivinetto: leggere, discutere e accogliere questa nuova sfida con curiosità. Perché, come amava dire T. S. Eliot (nella foto), che di poesia non era certo digiuno, “Non è la meta che conta, ma il viaggio”.