Una donna, sola in scena, conficcata nel terreno, attaccata alla vita. Al Teatro Mina Mezzadri di Brescia va in scena Sola, scritto e diretto da Giacomo Andrico, con l’attrice bresciana Giuseppina Turra sul palcoscenico.
L’ispirazione per lo spettacolo viene da Samuel Beckett e dal suo Giorni felici, descrizione dell’umano attaccamento all’esistenza e dell’aspirazione alla felicità, anche nelle condizioni più estreme e disagiate
In scena per la cinquantesima Stagione del Centro Teatrale Bresciano, intitolata Il mondo nuovo, Sola sarà al Teatro Mina Mezzadri di Brescia (Contrada Santa Chiara, 50/A) dal 9 al 14 febbraio 2024, tutti i giorni (lunedì compreso) alle ore 20.30, la domenica alle ore 15.30. Lo spettacolo è parte della rassegna Nello spazio e nel tempo. Palestra di teatro contemporaneo.
Drammaturgia scenica, regia e scene sono di Giacomo Andrico; in scena Giuseppina Turra. Le luci sono Stefano Mazzanti, le musiche originali di Claudio Smussi; lo spettacolo vede la collaborazione ai costumi e alle scene di Michela Brignoli, Giulia Cabrini, Silvia Ceciliot, Antonio Spada, Simona Venkova, allievi del Biennio di Scenografia dell’Accademia Santa Giulia di Brescia.
Sola è realizzato grazie al sostegno di Ministero della Cultura, Gruppo A2A, Fondazione ASM, Gruppo BCC Agrobresciano e ABP Nocivelli.
Samuel Beckett scrive Giorni felici nel 1960. L’opera presenta una sorprendente immagine scenica, al tempo stesso semplice e terribile: una donna conficcata nel terreno fino al punto della vita.
Il suo nome è Winnie ed è lì da tempo immemorabile. Accanto a lei, ma quasi fuori dalla portata del suo sguardo, il marito (Willie) che vegeta in un buco nel terreno, come un verme. Alla loro degradata condizione fisica fa da contrasto il tono del dialogo (o meglio del quasi-monologo, visto che Willie non dice che poche brevissime battute).
Nel secondo atto del testo beckettiano, Winnie è interrata fino al collo. Willie è ormai sempre meno presente. Lei non può fare altro che stare lì e parlare. Nonostante questo, continua a dire che la sua è una vita felice, che i suoi sono giorni felici. Si tratta dell’opera in cui Beckett ha forse descritto meglio la formidabile ostinazione della vita, l’umano attaccamento all’esistenza anche in condizioni estreme.
Andrico stringe l’ottica di Giorni felici sulla donna sola, eliminando la presenza in scena del marito: egli vive grazie al ricordo di lei che lo evoca. La donna costantemente afferma la vita, la genera e sceglie di celebrarla in forza di condizioni terribili, in una solitudine esaltata. Paradossalmente felice.
Un ombrellino come rifugio, come solo elemento di riparo dalla pioggia e dal sole. Pause. Azioni che portano verso altre azioni. Gesti naturali in un innaturale attimo: incapace di muoversi, se non con le braccia prima e solo con la testa, poi, Giuseppina Turra è una Winnie che si spazzola i denti, e fruga nella borsetta, e si pettina, e raccatta gli occhiali e li pulisce, e canta spensierata incurante di tutto, evocando il marito, assente nella scena. Così, conficcata nel terreno, delle catastrofi se ne infischia: non si piange addosso, non si intristisce per quel disastro esistenziale, ma continua ad amare il suo consorte, apparentemente dentro un’assurda felicità.