A tutti sarà capitato qualche volta, nelle pieghe di una giornata normale, nel tran tran delle occupazioni e degli impegni quotidiani, che qualcosa ci colpisca in maniera inaspettata e sorprendente: un volto, un incontro, un evento che squarciano per così dire l’orizzonte del già saputo, e danno una prospettiva diversa, nuova, ai nostri programmi e alle nostre aspettative. In quei momenti è come se la realtà si rendesse trasparente, e dall’interno della nostra esperienza emergesse un senso, una prospettiva, una profondità di cui abitualmente non ci accorgiamo. In quei momenti il peso e la fatica dell’esistenza – che non è solo l’esito dei diversi problemi che la vita ci pone, ma è soprattutto la mancanza di un senso adeguato per l’esistenza – cede il posto a una promessa che ci attrae.
Il Meeting 2020 vuole mettere a tema – attraverso una frase bellissima e insieme drammatica del filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel, citata da don Giussani ne Il senso religioso – questa “meraviglia” con cui la realtà ci tocca e ci sorprende, e grazie alla quale ciò che crediamo di sapere e di saper gestire, o che cerchiamo sempre di sistemare nei nostri schemi, mostra la sua misteriosa attrattiva: la scoperta semplice e vertiginosa che le cose ci sono, e ci sono date, sono donate gratuitamente a noi; e noi stessi siamo dati, perché siamo continuamente chiamati ad essere, ridestati nel nostro ‘io’ dall’incontro con la realtà, con le cose e con le persone.
Senza questa meraviglia la realtà diventa opaca e scontata; e il nostro io si riduce alle nostre capacità e alle nostre performances, e alla fine, tristemente, alla nostra incapacità e ai nostri insuccessi. E il gioco sembra perso. Nell’epoca del nichilismo diffuso, in cui l’insensatezza è come un fumo passivo che respiriamo senza neanche tante volte capire qual è l’origine del nostro sottile disagio, tutto il problema umano – e con esso i tanti problemi del mondo – si concentrano in questa possibilità di stupirci ancora. Non per un’emozione sentimentale e passeggera, ma per il contraccolpo che la realtà provoca nella nostra ragione e nel nostro cuore. E che può essere una traccia da seguire, un metodo e uno sguardo nuovo per affrontare tutto.
L’umano si riaccende solo se qualcosa o qualcuno lo strappa dal nulla: non un’idea intellettuale o un dovere morale, ma un avvenimento che possa prendere la vita, un ‘ideale’ incarnato, che accade nel tempo e nello spazio: una presenza storica, in carne ed ossa, che corrisponda così tanto al nostro desiderio di vita da prenderci e da renderci liberi.
Il sublime è la voce del reale che ci chiama, non al di là del mondo, ma dentro questo mondo, come una promessa che attende la nostra attenzione e la nostra disponibilità – la “povertà di spirito” di cui parla il Vangelo – per poter rendere presente e visibile, sperimentabile, il Mistero che abita le cose.
Guardare i problemi del mondo, a tutti i livelli, anzitutto culturale e comunicativo, economico, sociale e politico, restando sordi al sublime significherebbe non comprendere la sfida e il compito che ci attendono. Lo stupore che nasce dal sublime, vale a dire da qualcosa che ridesta la nostra persona e la sostiene nel suo desiderio, è il fattore più concreto, addirittura il più operativo nell’affronto del nostro tempo – un tempo difficile e affascinante come sanno essere i grandi momenti di crisi nella storia dell’uomo.
Il contributo che il Meeting vuole proporre è un nuovo passo di amicizia – rinnovando una storia che dura da più di quarant’anni – con tutti coloro che avvertono l’urgenza della vita e la fame di un significato per vivere. È l’amicizia di chi si aiuta a far attenzione al richiamo dell’essere, di chi si impegna a interpretarne i segni, di chi si educa a gustarne la bellezza. Questa amicizia non è solo quella che il Meeting vorrebbe offrire a tutti, ma è anche, e soprattutto, quella che da tutti attende, per reimparare a vivere la meraviglia.