TANCREDI DI BAROLO, UN MODELLO DI VITA

Continuo il mio appassionato tour di studio dei tanti “Santi sociali” che vissero nella Torino dell’Ottocento. E’ arrivato il momento di presentare un’altra figura straordinaria, eccezionale, si tratta del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838), sposo della marchesa Giulia Colbert di Maulevrier (1786-1864). Entrambi dichiarati venerabili della Chiesa.

Recentemente Papa Francesco ricevendo in Vaticano i membri della Congregazione di San Giuseppe ( I Giuseppini del Murialdo) in occasione del 150° anniversario della fondazione (19 marzo 1873) Fondata da San Leonardo Murialdo, per la cura e la formazione soprattutto dei giovani operai.

Il Papa prima di leggere il suo discorso ha fatto esplicito riferimento ai grandi «santi» piemontesi che nella Torino risorgimentale scelsero l’impegno cristiano mossi dallo spirito di carità e solidarietà verso i più poveri, i dimenticati, gli ultimi, i bambini di strada, i carcerati. Oltre al Murialdo, c’è Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Francesco Faà di Bruno e gli sposi Giulia Colbert e Carlo Tancredi Falletti di Barolo.

Sono di estrema importanza le considerazioni del Papa: “A me fa pensare tanto questo tempo, lì, nel “fuoco” – diciamo così –, nel centro della massoneria, a Torino, nel Piemonte, tanti santi, tanti! E dobbiamo studiare perché, perché in quel momento. E proprio nel centro della massoneria e dei “mangiapreti”, i santi, e tanti, non uno, tanti. Dunque ha fondato a Torino, in questo contesto duro, segnato da tanta povertà morale, culturale ed economica, di fronte alla quale non è rimasto indifferente: ha raccolto la sfida e si è messo al lavoro, in mezzo alla massoneria”. Ecco Papa Francesco ci esorta a studiare quel periodo storico e naturalmente i tanti santi di quel secolo. Come ho scritto in altre occasioni, pare che questi “santi” siano stati quasi duecento, tra quelli riconosciuti e non dalla Chiesa.

Uno di questi è il marchese Tancredi di Barolo. Per conoscere la sua straordinaria figura utilizzo il testo Felicità, Verità, Bellezza. I volti della Carità di Carlo Tancredi di Barolo (1782-1838)”. Il testo è curato dalla Congregazione delle Suore di S. Anna, che ha messo insieme gli Atti del Convegno di Studio tenuto a Torino del 14 novembre 2008, promosso dalla stessa Congregazione Suore di S.Anna, Opera Barolo, con la collaborazione del Centro Studi Piemontesi, con il contributo della Regione Piemonte. Il testo presenta gli interventi dei vari relatori che con le loro ricerche hanno significativamente contribuito a far conoscere varie sfaccettature della poliedrica figura di Carlo Tancredi di Barolo, affascinato dall’ideale della bellezza, della verità e della felicità. Le parole di Benedetto XVI sulla santità possono essere attribuite secondo madre Ernestina Fuentes al marchese: “Il santo è colui che è talmente affascinato dalla bellezza di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne progressivamente trasformato. Per questa bellezza e verità è pronto a rinunciare a tutto, anche a se stesso. Gli basta l’amore di Dio, che sperimenta nel servizio umile e disinteressato del prossimo, specialmente di quanti non sono in grado di ricambiare”.

Il Convegno sul marchese di Barolo si è dato un preciso compito, presentarlo in tre obiettivi, che poi sono legati da un filo rosso: il è quello di “far luce sulla straordinaria figura di un cittadino illustre, quale fu il marchese di Barolo, in quanto uomo di alte virtù, sposo esemplare, appassionato educatore dei giovani, servitore del bene pubblico, uomo generoso,, amante dell’arte e dei viaggi ed, infine, “padre dei poveri”, come lo definì Cavour”.

Il aspetto, è quello di dimostrare che Tancredi è stato, “come pubblico amministratore e ancor più come privato cittadino, un pioniere nel campo delle politiche scolastiche e socio-assistenziali, intervenendo a favore delle fasce più deboli e disagiate della popolazione”.

Il compito del convegno è quello di “attestare che ci sta a cuore il problema della formazione”. L’emergenza educativa che si registra oggi non può lasciare indifferenti né i giovani, né gli educatori. E’ in gioco la formazione della persona, e con essa le basi stesse della convivenza ed il futuro della società”.

Suor Felicia Frascogna nell’introdurre i lavori del Convegno ha sostenuto: il nostro Paese oggi ha bisogno di modelli di vita appassionati dell’educazione e noi crediamo che Tancredi sia un fulgido esempio. Tancredi di Barolo era alla ricerca del bello, lo testimonia il suo amore per l’arte, la natura, la musica. “Lo testimoniano i suoi viaggi, nei quali descrive con minuziosità ogni ‘oggetto’ bello, che suscita il suo vivo interesse, sia esso opera dell’uomo o della natura”. Insomma, suor Felicia sottolinea la ricerca della felicità, della verità e della bellezza, il trinomio della carità presenti nella vita del marchese.

Il testo presenta subito, il Testamento del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, la sua struttura, gli elementi soggettivi, a cura di Alberto Pregno (Meraviglioso mistero sponsale), qui si mette in luce, tra l’altro il vivo e straordinario affetto coniugale tra Carlo e l’amata Giulietta. “la grandezza del rispetto reciproco verso la persona dell’altro, – scrive Pregno – la stima delle virtù di intelligenza e della dimensione caritativa dell’altro e la comunione spirituale totale, direi quasi fusione, tra le due volontà sono realmente specchio vivo dell’unione di Cristo con la Chiesa stessa”. Certamente non si possono celebrare la vita e le opere del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo senza ricordare i 32 anni del suo felicissimo matrimonio con la moglie Giulia. Il presidente Franco Gamba, dell’Opera Barolo, nei saluti, ricorda che, “Non si può dimenticare che le generose e innovatrici iniziative sociali di Tancredi di Barolo furono originate da una comunione di vita e di ideali con la sua sposa, da una vita coniugale ricca di sensibilità umana e sociale e soprattutto di carità cristiana”.

Chiaramente i due coniugi hanno potuto fare tutto quello che hanno fatto, perché avevano ereditato una immensa ricchezza, senza questa non sarebbe stato possibile creare quell’impero di carità che divenne l’Opera Pia Barolo[…]. Un’opera di carità che è potuto operare perchè Carlo e Giulia erano una coppia cristiana unita, che hanno liberamente trovato risposte efficaci alle diverse povertà del tempo, “da far sì che la bontà nell’agire di uno non fosse mai inferiore all’ardore caritativo dell’altro pur nella diversità di doni e carismi di ciascuno”.

Gli interventi pubblicati nel testo sono tutti interessanti, vorrei proporli tutti a cominciare quelli dove si sottolineano gli aspetti educativi, le prime “Sale di Ricovero” per duecento bambini, addirittura all’interno del proprio palazzo Barolo in via delle Orfane a Torino, e poi, l’istituzione dei primi Asili infantili. “Attraverso l’educazione e la scuola si trattava, d’un lato, di prevenire i mali sociali più acuti della società del tempo (la mendicità, il vagabondaggio, il pauperismo, il disordine morale. l’abbandono dell’infanzia a se stessa) e di assicurare, dall’altro, una iniezione di valori positivi nei singoli individui”.Non basta solo l’azione repressiva, per il marchese bisogna “entrare nelle coscienze, creare buone abitudini, formare mentalità orientate al bene se si voleva scongiurare il rinnovarsi del disordine della Rivoluzione”.

Tancredi di Barolo essendo pure un amministratore comunale in qualità di Decurione e Sindaco, sostiene il potenziamento delle scuole elementari popolari e promosse, in particolare, l’istituzione delle Scuole elementari superiori a carico della città di Torino. Si occupò anche di riordinare la Scuola delle arti del disegno e di geometria pratica. I Barolo ebbero parte attiva per far pervenire a Torino congregazioni francesi esperte nel campo dell’istruzione come le suore di San Giuseppe e le Dame del Sacro Cuore che per un certo periodo furono ospitate nel Palazzo di famiglia.

Il marchese si impegnò a scrivere anche dei libri per la scuola dell’infanzia, un tema urgente, tra i più gravi. L’infanzia non va soltanto custodita e assistita, ma va educata. L’opuscolo “Sull’educazione della prima infanzia nella classe indigente”, dedicato alle persone caritatevoli, evidenzia già nel titolo la motivazione che lo spinge ad istituire la prima sala d’Asilo in Piemonte e poi la Congregazione delle Suore di Sant’Anna. Grazie a loro poi nel corso degli anni, le scuole dell’infanzia verranno diffuse non solo in Piemonte e negli altri Stati italiani, ma in tutti i continenti. I marchesi nei loro viaggi, soprattutto in Francia e in Inghilterra, visitano istituti educativi, interessandosi dell’organizzazione, del metodo seguito, della disposizione degli ambienti. Nelle varie relazioni si sottolinea l’impegno del marchese per l’educazione dei figli del popolo e le sue motivazioni di natura sociale, religiosa e pedagogica. Lo scopo di questo impegno era quello di rigenerare socialmente e moralmente  le masse popolari. Peraltro i Barolo invitano gli altri nobili ad uscire dal loro egoismo di casta per impegnarsi anche loro a risollevare la società dal degrado e dalla povertà.

I relatori hanno puntato molto sull’attivismo pedagogico del marchese, rivolto soprattutto ai più piccoli, ai bambini dai due anni ai sei. Tutto compreso nell’imitazione di Gesù e nella realizzazione di ogni Sua Parola. Colpito dall’invito del Divin Maestro: “Lasciate che i piccoli vengano a me…”(Mt 19,14) Ecco perché accolse nel suo palazzo i bambini trascurati dai genitori o per necessità o per ignoranza. Interessante leggere le regole, i metodi adottati per educare questi piccoli, non solo attività intellettuali e morali, ma soprattutto educazione fisica, all’aria aperta, una istruzione impostata sul gioco. Don Salvatore Vitiello scrive che il marchese, fu “un psicologo ante litteram ed asceta, intuiva vie nuove e migliori nella formazione morale ed intellettuale della persona umana”. In questo impegno il marchese, “si appassionò tanto al problema scolastico che compilò di persona per le sue scuole, un trattato di geografia, ravvivato da letture storiche, artistiche, descrittive, secondo il criterio di uno studio, per così dire, antropologico, rivolto a far conoscere insieme le opere di Dio, nella natura, e anche le opere dell’uomo”. Addirittura precorrendo i tempi affronta il tema anche dell’orientamento professionale per guidare i giovani alla scelta della professione. Attenzione per apprezzare le innumerevoli iniziative educative profuse da Tancredi occorre per un attimo calarsi nel tempo in cui è vissuto, quando ancora il bambino soprattutto quello degli ambienti poveri era considerato quasi un oggetto, una cosa da scartare. Noi oggi ormai abbiamo raggiunto traguardi impensabili rispetto ai primi anni dell’Ottocento.

Giorgio Chiosso nella sua relazione (Scritti pedagogici e attività educativo-professionali) sottolinea la poliedrica personalità del marchese il suo svariato impegno nel sociale. Personalità che per qualche tempo è stato oscurata addirittura dalla moglie Giulia, ma le ricerche più recenti hanno restituito al marchese quell’autonomia intellettuale e d’azione che gli fu propria. Certamente va visto un vero e proprio intreccio d’intenti tra Giulia e il marito, che si “manifesta anche nella sinergia messa in campo tra i rispettivi e peculiari ambiti di interesse e di attività. Mentre Giulia è principalmente impegnata a favore delle donne per sottrarle alla triste condizione di povertà e di sfruttamento e, attraverso il loro riscatto, restituirle alla società e alla famiglia, l’iniziativa di Carlo Tancredi si rivolge soprattutto verso l’educazione dei bambini e dei ragazzi, un anello della società del tempo strettamente congiunto e non meno fragile di quello femminile”. Per Chiosso, “Comune è la loro strategia d’azione: non una carità occasionale, sentimentale o bigotta, ma una carità operosa gestita secondo criteri connotati da efficienza, funzionalità, durata nel tempo e soprattutto nuove prassi mutuate da iniziative già sperimentate in altri Paesi”. Qualcosa di simile ha attuato a Napoli, la regina Maria Cristina di Savoia.

Inoltre il Chiosso mette a confronto per quanto riguarda l’educazione infantile, Carlo Tancredi e Ferrante Aporti. Un confronto, talvolta, presentato in forma contrappositiva. Entrambi hanno lavorato alle scuole infantili, soltanto che nella storia della pedagogia inspiegabilmente viene riconosciuto come primo ideatore (“il patriarca”) degli Asili infantili il sacerdote lombardo.

A questo proposito non si comprende perché un maestro come Tancredi non abbia avuto la dovuta riconoscenza nella storia tra i grandi pionieri della pedagogia infantile. Tuttavia Evagrio Pontico, monaco santo del III° secolo, citato spesso da Vittorio Messori così si esprimeva: “A una teoria si può rispondere con un’altra teoria. Ma chi potrà mai confutare una vita?”. L’ultimo dei marchesi di Barolo, chiude una dinastia aristocratica con tanti meriti, scrive Marco Albera, il marchese ha avuto un compito che sentiva profondamente: restaurare la società sconvolta dalla rivoluzione, partendo dall’educazione dei singoli. Felice intuizione, che fa definire Carlo Tancredi dal suo primo grande biografo, don Domenico Massè, “un precursore nel campo pedagogico” che indica una strada precedendo gli altri con una visione chiara, all’insegna di una verità cogente: la carità non può attendere, ovvero la “Carità qui e subito” di Giulia Colbert, sua consorte[…]”.

Comunque in chiusura vorrei soffermarmi, nonostante la lunghezza di questa mia presentazione del marchese di Barolo, sull’intervento del professor Mauro Ronco, esponente autorevole di Alleanza Cattolica (L’ambiente religioso torinese e Tancredi di Barolo). Si tratta proprio di studiare l’ambiente religioso, sociale e politico di quei decenni dell’800. Peraltro è l’invito che in questi giorni ha fatto il Santo Padre Francesco.

Ronco esordisce nella sua relazione dicendo che Tancredi é stato un esempio fulgido di uomo cattolico, impegnato nella vita politica, secondo l’insegnamento della Chiesa, espresso mirabilmente dal Concilio Vaticano II, che ha esplicitamente definito la vocazione del laicato cattolico. Sostanzialmente anche il marchese di Barolo si è reso protagonista nella società applicando concretamente la dottrina sociale della Chiesa a tutte le realtà a cui era impegnato. Il professor Ronco ci tiene a distinguere il figlio Tancredi dal padre Ottavio, appartenente all’aristocrazia torinese, che fu tra gli animatori della cosiddetta “Società Sampaolina”, che si riuniva nel palazzo del conte Emanuele Bava di San Paolo, per leggere e commentare i testi dell ‘Encyclopédie di Diderot e d’Alambert e manifestavano simpatie per Rousseau ed Helvetius. A questo punto Ronco elenca i guasti provocati dal dominio francese e dalle guerre napoleoniche con la distruzione materiale e i milioni di morti. In pratica tutti i campi di battaglia a cui ha partecipato Napoleone divennero enormi cimiteri. Del resto Napoleone avrebbe detto al principe Metternich che lui era pronto a sacrificare un milione di morti pur di garantire il proprio potere e la propria influenza sull’Europa.

Le guerre napoleoniche non solo avevano abbattuto le mura e le le torri delle città come Torino, ma soprattutto “era stato avvilito e impoverito il popolo minuto, che si era visto privare del conforto della religione e aveva perduto il sostegno morale e materiale delle confraternite, degli ordini e delle congregazioni religiose, che curavano nella città e nel contado le opere di misericordia corporale, oltre a quelle di carattere spirituale, alleviando le sofferenze, le malattie e la povertà del popolo”. Ronco individua nel periodo storico in cui è vissuto il marchese di Barolo un certo risveglio religioso.

Alla vaga religiosità deistica occorreva sostituire la fede concreta nel Dio incarnato che aveva condiviso con l’uomo tutte le sue povertà, per riscattarlo dal peccato e dalla morte”. Per Ronco gli strati elevati della società, sia uomini e donne, avevano capito che dopo le intemperie della Rivoluzione occorreva un cambiamento di mentalità, una conversione spirituale e intellettuale. Occorreva abbandonare le dissertazioni ideologiche del giacobinismo e prestare nuovamente attenzione all’ascolto della lezione del senso comune e della filosofia realistica fondata sull’essere.

Infatti bisognava lasciare da parte “l’educazione roussoviana, tutta basata sull’esaltazione dei sentimenti e delle emozioni, e delle emozioni, occorreva sostituire la solida lezione ricavata dalla ragione, affinché i giovinetti potessero apprendere gli elementi essenziali delle lettere, dell’aritmetica e delle arti tecniche[…]”. Soprattutto occorreva “smettere di raccontare le favole del buon selvaggio e dell’uomo ‘ buono’ per natura […]”. Bisognava invece volgere lo sguardo verso i poveri che vivevano nei tuguri e nelle soffitte, i mendicanti, gli affamati, le donne abbrutite dalla miseria e dal malcostume, gli orfani abbandonati, gli storpi e i mutilati dalle guerre. Sostanzialmente, dopo tante declamazioni sull’uomo astratto e sui suoi diritti assoluti alla libertà era tempo di volgere la propria attenzione all’uomo concreto e preoccuparsi realmente del suo bene.

Secondo il professor Ronco, per certi versi, questa conversione della società torinese, era stata preparata dal venerabile Pio Brunone Lanteri, fondatore delle Amicizie cristiane e poi dell’Amicizia cattolica, che operava nel 1804 a Torino. Ronco ci tiene a precisare che il Lanteri stesso fu la fonte spirituale e l’animatore infaticabile di un risveglio religioso cattolico che accompagnò e sostenne la restaurazione della società torinese e sabauda dopo la bufera delle guerre napoleoniche”. Purtroppo questo è poco noto, e soprattutto, fu artefice della“fioritura dei santi sociali e delle loro opere sociali a beneficio dei malati, dei poveri e dei deboli fu straordinaria nel corso del XIX secolo in Torino e in Piemonte“. Ma oltre al Lanteri non si devono dimenticare altre figure importanti come il teologo Luigi Guala e quindi il centro spirituale di Torino, intorno al Santuario della Consolata, che fu affidato all’officiatura degli Oblati di Maria, la Congregazione fondata dal venerabile Lanteri. Il Ronco mette in luce in questo quadro di risveglio religioso anche la risposta politica e amministrativa di Tancredi di Barolo alle esigenze del tempo. Infatti il Tancredi non fu autore soltanto di moltissime opere di misericordia corporale e spirituale, che peraltro fa parte della tradizione della Chiesa e del suo laicato fedele, ma il marchese, “si dedicò alla restaurazione della vita politica, amministrativa e sociale, assumendo l’impegno politico come compito specifico del laico cattolico”. Questa attitudine l’ha manifestò ricoprendo le cariche di Decurione della città di Torino e di sindaco. La parte finale della relazione si occupa delle numerose opere di cui è stato artefice il nostro Tancredi.

 

DOMENICO BONVEGNA