Il turismo è una di quelle economie che “tirano”, con indicatori di crescita da capogiro nei prossimi anni. Nel contempo, le prime analisi di come quest’economia che esplode possa condizionare il contesto di “sopravvivenza” di tutti i Paesi, si sono affacciate.
E non sono rosee, visto che – turismo sostenibile o meno che possa essere nella testa dei vari attori del settore – l’aspetto predominante è quello legato al trasporto aereo, che comunque la si metta, rappresenta un grosso problema sotto diversi punti di vista: il carburante, il rumore, le necessarie infrastrutture.
Certo, gli aeroporti oggi sono delle meravigliose cattedrali, più o meno efficienti rispetto al Paese in cui ci si trova (un giretto fra quelli cinesi lascerebbe molti -inaspettatamente?- di stucco), efficienza tecnica e ricaduta sulla quantità di lavoro che producono; le loro aree sono diventate dei veri e propri contesti urbani intorno ai quali cresce tutto quello che vi è necessario, nello specifico e di contorno (https://www.aduc.it/articolo/uomo+mobile+nell+era+della+velocita_27104.php).
Una nuova dimensione umana proiettata verso il futuro e che, in barba a tutti coloro che vorrebbero che si continuasse a credere che bello è solo stare a casa propria, sta conquistando tutti. Il turismo verso mete lontane, che fino a non molto tempo fa era appannaggio solo di chi aveva una certa predisposizione economica e culturale, fa parte del passato. E, ovviamente, il turismo non solo come un fatto di cultura, ma anche di consumo, spesso -purtroppo- fine a se stesso.
Vedremo quali saranno gli sviluppi, ma credo che se non si decidono alcuni paletti da subito, paletti apparentemente di immediato dolore in senso ampio, c’è pericolo di degenerazione. Del resto, come potrebbe essere altrimenti? Fa parte della natura umana: bello, buono, tira, “diamogliela dentro”… un po’ come le automobili diesel che alcuni fa erano l’emblema del futuro, tranne poi accorgersi che sono diventate la tomba delle nostre comunità.
Quello che qui vorrei affrontare è un aspetto di ricaduta del turismo di massa, quello antropologico, culturale e sanitario. Per gli individui nella loro intimità. Ché, sempre nell’ambito di questi aspetti, si potrebbe argomentare ed analizzare in modo ampio. Il nuovo essere umano protagonista di questo turismo di massa: come si comporta, come reagisce, quali sono le conseguenze che, a partire dalle sue reazioni, non possono non avere una ricaduta sull’intera comunità, e le economie che sempre seguono a ruota in questi contesti.
Prendiamo un aereo. Low cost o meno è ininfluente. Osserviamo due tipi: quello per percorsi brevi e quello per percorsi lunghi. Il primo è meno attrezzato del secondo. Quando ci sono, i pasti a bordo sono più frugali, raro trovare sedili o corridoi attrezzati con televisori.
In entrambi i tipi di velivoli, i passeggeri sono comunque attrezzati ognuno col proprio telefonino. Unico oggetto di intrattenimento o, quando ci sono i monitor interni, supporto di passaggio tra un film e un altro.
A parte qualche piccolo bimbo che si lamenta, il silenzio è sovrano. Tutti con le loro cuffie a godersi il tempo che trascorre in attesa di giungere all’agognata destinazione. Il viso del vicino di poltrona è ignoto, se non quelle rare volte che -rotti gli indugi timorosi per non dare fastidio, che portano anche a trattenere i propri bisogni fisiologici all’inverosimile- si è costretti a chiedere permesso per andare nella toilette.
Situazione che diventa ancora più estrema quando, oltre a quanto descritto si aggiungono anche le barriere linguistiche. Scambiarsi un’opinione su qualcosa che accade nell’aereo, guardarsi negli occhi e capire che si viene da parti lontane e quindi si è curiosi di conoscere un po’ di vita del nostro vicino, commentare le schifezze che ci fanno trangugiare non si sa se per dovere di un contratto economico o per tenerci il più distratti possibile dalla conduzione del trasporto… macchè, roba di quando i passeggeri dopo l’atterraggio dell’aereo, facevano gli applausi rivoli al pilota per la sua ottima performance (pratica per fortuna quasi sparita).
Le persone in aereo sono delle sorte di zombie. I nostri vicini potrebbero non esserci e ne saremmo anche più lieti… ma allora, perché si viaggia? Che senso ha sottomettersi a fatiche economiche e fisiche per raggiungere una meta, se poi questo significa solo poter godere della conferma di quanto già visto in tv o in Internet, magari inquadrandolo in una storia di personaggi famosi che ci hanno anche invogliati a scegliere un posto piuttosto che un altro.
Dov’è la nostra storia, il nostro viaggio, la nostra esperienza, il nostro essere più ricchi? Mi rendo conto che io sono un po’ condizionato dal fatto che quando ho cominciato a capire di poter meglio conoscere e conoscermi ero aduco ad incontrare luoghi e persone diverse e possibilmente diametralmente opposte a quello che già conoscevo (ed ho sempre vagheggiato di esperienze “dove si scopre che un viaggiatore non è un turista”), ma altrimenti cos’è il viaggio?
Io parto dal presupposto che il viaggio sia insito nella natura dell’individuo. Siamo tutti migranti, per necessità o piacere o semplice curiosità. E siamo sicuri che quella meravigliosa tecnologia -la Rete- che oggi ci facilita molto la vita, debba supportaci con questa funzione di esclusiva, tanto da banalizzare e “quotidianizzare” ciò che invece dovrebbe/potrebbe essere linfa eccellente per farci vivere meglio e più felici?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc