Il successo televisivo delle “città segrete” di Corrado Augias e della serie che Alberto Angela ha recentemente dedicato al racconto delle metropoli antiche e moderne non deve stupirci. Il profilo delle civiltà da sempre si specchia nei modi in cui l’uomo di ogni tempo ha cercato di organizzare la sua convivenza. Abitare la complessità, la sfida è sempre attuale come spiega molto bene Mauro Ceruti che insieme a Francesco Bellusci ha dedicato un saggio abile e penetrante a questo delicato tema (ed. Mimesis). «Per la prima volta nella storia umana – scrivono Ceruti e Bellusci – l’ecumene terrestre è divenuta realtà concreta. Questa prospettiva delinea l’orizzonte di un nuovo umanesimo planetario, rispetto a cui un futuro sostenibile potrà essere prodotto solo dalla coscienza della comunità di destino che lega tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta all’ecosistema globale».
Negli ultimi tempi si è tentato più volte di celebrare il De Profundis della città. Esercizio vano, perché sono le realtà urbane l’epicentro della “comunità di destino”, teorizzata in molti scritti di Morin. Secondo stime del “World Urbanization Prospects”, nel 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane, autentici “magneti umani”, con una crescita pari a circa 250mila abitanti al giorno. Un polmone in espansione che bisognerà osservare, gestire, soprattutto curare.
La pandemia ha lacerato il tessuto delle relazioni ferendo al cuore la vitalità di piccole e grandi città
La pandemia è stata uno choc che ha lacerato il tessuto delle relazioni, ferendo al cuore la vitalità di piccoli e grandi comuni. La rigerenerazione urbana potrebbe essere un giusto antidoto. Il termine, sempre più ricorrente, ha una valenza complessa, perché implica la consapevolezza che superficiali maquillages sarebbero inutili, intervenire nelle realtà urbane vuol dire toccare la struttura profonda su cui si fondano i principi della communitas. La questione non è certo di poco conto. Giampiero Lupatelli, economista territoriale e Antonio De Rossi, docente di progettazione archiettonica del Politecnico di Torino, hanno redatto un Glossario esplicativo della rigenerazione urbana (ed. Donzelli). Un primo bisogno appare quello di ribilanciare il rapporto tra segno e significato, serve insomma un nuovo linguaggio per interpretare la “babele” e agire con raziocinio nel contesto di quelle che Vittorio Gregotti aveva definito “tecno-città”. «Le aree urbane moderne – spiega il decano della sociologia italiana Franco Ferrarotti che ha per più di mezzo secolo studiato l’onda in movimento della perifera romana – sono un mosaico, una serie di tessere che si affiancano. Dovendoci occupare del loro governo non parlerei di politica e architettura in astratto, quanto di una molteplicità di componenti in divenire, in cui le tecnologie e l’immigrazione sono fattori “drammatici” del cambiamento. Si stanno, infatti, progressivamente modificando i tradizionali rapporti gerarchici tra centro e periferie, tra le “insegne” del potere, le agenzie di senso e gli organi istituzionali».
Calvino, la modernità e la rivoluzione in corso
Dalla città ritratto analizzata con grane perizia da Franco Purini, in cui estetica rinascimentale, strutture abitative e disegno del territorio compongono una perfetta armonia, alle “città invisibili” di Italo Calvino, espressione della modernità noceventesca, sono passati secoli. Non è cambiato solo l’universo fisico-geografico entro cui ci muoviamo, ma anche l’immaginario che spinge l’indiviudo a cercare uno suo spazio umano e professionale negli ecosistemi urbani. «Dal punto di vista teorico – riprende Ferrarotti – bisogna ricordarsi che da una parte abbiamo le città classiche, storicamente determinate, “monocentriche”, che hanno un tessuto fitto, congegnato come un cristallo o un componimento poetico, nessuno può modificare una parola, un aggettivo, senza alterare l’armonia delle sue parti. Dall’altro lato l’avvento dell’industria che rompe equilibri che sembravano immodificabili. Il lavoro diventa l’epicentro, un’ancora identitaria cui l’individuo si appiglia per non rimanere schiacciato dall’alienazione generata dalla potenza crescente delle macchine. Di quel mondo che attorno alla principale fonte di energia, il vapore, aveva eretto una struttura abitativa ad alta concentrazione sono ormai rimaste sparute tracce».
I bit non hanno cancellato la distanza e i luoghi riemergono per riaffermare una specificità
L’interesse appare oggi catalizzato dalle Senseable city, per indagarne l’essenza bisogna considerare gli aspetti umanistici nell’analisi degli strumenti digitali che innervano i centri abitati. È il lavoro di Carlo Ratti (Urbanità l’ultimo suo saggio edito da Einaudi), che ha fondato un laboratorio presso il Mit di Boston all’avanguardia nello studio della fittissima trama di implicazioni che legano la scienza urbanistica, la rivoluzione del digitale e il fare architettura. Avevamo creduto, sulla scorta dell’insegnamento di Marc Augé, che i “non-luoghi” nella globalizzazione potessero prendere il sopravvento. Ci stiamo invece accorgendo che i bit non hanno cancellato la distanza, e che i luoghi riemergono, per riaffermare una specificità. «Nell’era dell’antropocene – commenta Ratti – la polis connette reti di senso, prima ancora di garantire mobilità tra aree metropolitane, tra centro e periferie». In questa dimensione ibrida, che mescola reale e virtuale «per fare comunità – il parere di Riccardo Porcu, responsabile della Direzione Generale Innovazione e Sicurezza IT della Regione Autonoma della Sardegna – bisogna essere mossi da una motivazione profonda. La transizione digitale richiede un management urbano che sappia affrontare il futuro. Non dobbiamo dimenticare che il nostro è un paese fatto di piccoli comuni. L’impegno mio e dei miei collaboratori è volto alla creazione di una piattaforma relazionale, attorno a cui ruota un progetto articolato di Academy strutturato in quattro indirizzi la cui missione è la diffusione dei nuovi saperi, che devono diventare patrimonio di tutti. La città, in quest’ottica, è la frontiera mobile che vede uomo e tecnologie misurarsi in un connubio inestricabile».
Le città tra architettura ed etica della responsabilità
La crescente complessità sociale e tecnica che si sta profilando non ammette nessun “eroico solista”, come lo sono gli archistar molto in voga, piuttosto l’apporto attento di una molteplicità di figure professionali, che dovranno prendersi cura dell’habitat nel suo insieme per trovare risposte adeguate alle esigenze crescenti della collettività. Questa la posizione di Marghertita Petranzan, teorica dell’architettura, direttrice di Anfione e Zeto, che ha curato la voce Agorà del Glossario. «L’architettura non è una semplice questione di forme, ma un autentico campo di battaglia dello spirito, costruito sull’etica della responsabilità. Le scelte che faremo, il PNRR sarà un banco di prova decisivo in tal senso, dovranno tenere conto che il repentino passaggio dall’industriale al digitale ha creato autentici disastri, per l’assoluta impreparazione delle culture locali a questa svolta radicale. Organizzare geometricamente lo spazio significa – nell’ottica della Petranzan – inserirlo nel tempo dell’uomo, in un orizzonte di equilibri che colloca la Morfologia oltre la semplice dimensione descrittiva. La formazione della parola, oggi da più parti minacciata, è il punto cruciale, parola che si costruisce non a caso nell’agorà, luogo in cui prende forma la relazione tra gli uomini e le cose». Se la democrazia ha la sua culla nell’Atene di Pericle, gli uomini del nostro tempo sono sollecitati a sentire tutto il peso della grande tradizione storica e culturale da cui ha preso le mosse la civiltà occidentale. Non possiamo, perciò, fare a meno di interrogarci sui tanti nodi di conflitto che segnano una società di migranti. La ricerca della città ideale, dopo Agostino, Moro, Campanella non può arrestarsi se, fa osservare Corrado Augias (autore del bellissimo saggio La fine di Roma, ed. Einaudi), «assistiamo a un ritorno drammatico degli homeless in tutte le grandi città del mondo». Si capisce molto bene l’importanza che assumono alcune voci del Glossario, quali accessibilità, social housing, partecipazione. L’emersione prepotente di nuove povertà impongono, infatti, una governance avvertita dei centri abitati e una diversa visione del welfare e dell’edilizia popolare, che rimane un perno essenziale di aiuto verso i ceti più deboli e di sostegno della fragilità.
Diritto alla città come “universale urbano” finalmente aperto al libero attraversamento di popoli, razze, etnie
Vorremmo essere più ottimisti, come lo è Ferrarotti che, contrariamente a quanto sostengono Ulrich Beck nella società del rischio e Huddinghton, teorico dello scontro di civiltà, volge lo sguardo, nello scritto L’enigma di Alessandro, incontro fra culture e progresso civile (ed. Donzelli), verso la costruzione di una sorta di “neoellenismo”, quale condizione aurea in cui possa vigere una comprensione generalizzata dell’alterità, fondata sulla koinè linguistica della grecità. Una cosa è certa: mentre oscilliamo costantemente sballottati tra l’oblìo e l’utopia, la riemersione di uno spazio pubblico partecipato, da più parti auspicata, dovrà essere orientata ad affermare quello che Henri Lefebvre chiamava diritto alla città, che vorremo venisse ottemperato nel disegno di un “universale urbano” finalmente aperto al libero attraversamento di popoli, razze, etnie.
Massimiliano Cannata – leurispes.it